Come atteso da tutti, lo spinoso tema del rifiuto del vaccino è stato affrontato, prima ancora che in Parlamento, davanti al Giudice.
Precisamente, il Tribunale di Belluno.
Contrariamente a quanto si possa pensare (e a quanto è dato comprendere dalle modalità con cui è stata data la notizia), non si è trattato di una pronuncia sull’obbligo di vaccinazione da parte del datore di lavoro, né sulle conseguenze definitive del rifiuto al vaccino da parte dei lavoratori.
La pronuncia ha statuito che è lecita l’imposizione di ferie al lavoratore che rifiuta il vaccino.
Vediamo la vicenda nel dettaglio.
10 lavoratori di due RSA, con mansioni operative (infermieri e OSS), si sono rifiutati di ricevere il vaccino anti-Covid, offerto loro in quanto categoria più a rischio.
Il datore di lavoro, a fronte di tale rifiuto, ha imposto loro la fruizione di ferie forzate, per evitare il contatto con i pazienti ricoverati.
I dipendenti hanno agito con ricorso d’urgenza avanti il Giudice del Lavoro di Belluno, chiedendo di essere riammessi in servizio.
Il Giudice ha respinto la loro domanda sulla base dei due seguenti ordini di motivi.
Il comportamento del datore di lavoro è stato ritenuto legittimo, in quanto misura di tutela per i lavoratori.
Costituendo il vaccino notoriamente misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia, soprattutto per i lavoratori (come i ricorrenti) esposti al contagio, la loro permanenza in servizio costituirebbe violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 c.c., il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti.
L’imposizione di ferie forzate non lede alcun diritto dei lavoratori.
A norma dell’art. 2103 cc, il datore di lavoro può stabilire anche unilateralmente il periodo di ferie, se l’esigenza sorge per rispettare quanto previsto dall’art. 2087 c.c..
Non sussiste alcun rischio per i lavoratori di subire una sospensione della retribuzione o un licenziamento, non essendo desumibile in alcun modo un intento aziendale di quel tipo.
In sostanza, il Giudice si è limitato ad affermare che il datore di lavoro, in adempimento al dovere di tutela della salute dei propri dipendenti, può inibire loro l’accesso ai locali aziendali, quando da tale situazione possa provenire un rischio concreto per la salute, come nel caso di rifiuto del vaccino.
Nulla ha detto, né poteva dire il Giudice in merito alla legittimità di una sospensione senza retribuzione, perché ipotesi non sussistente nel caso di specie, trattandosi di ferie forzate (e quindi retribuite).
Quindi, certamente si è trattato di una pronuncia significativa e importante, tuttavia non fornisce alcuna soluzione al problema che sicuramente sorgerà quando sarà necessario provvedere in maniera permanente e definitiva alla collocazione di quei lavoratori che rifiutano il vaccino e che operino in situazione di maggior rischio di contagio.
Come già esposto in un precedente articolo, il datore di lavoro non può imporre il vaccino al proprio dipendente, trattandosi di obbligo sanitario che può derivare solo dalla legge.
Vi è però un obbligo in capo al datore di lavoro, che è quello di tutelare la salute dei lavoratori e tale obbligo passa anche attraverso la somministrazione del vaccino, nonché l’allontanamento dal posto di lavoro in caso di rischio per la salute.
In assenza di un intervento legislativo, auspicato e annunciato, spetterà ai giudici di merito pronunciarsi sui singoli casi, con inevitabili contrasti giurisprudenziali e aumento del contenzioso.
Ovviamente, ne daremo conto su queste pagine, sperando di archiviare presto come un brutto ricordo questa pandemia.
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