Lo storno di dipendenti consiste nell’indurre, appunto, dipendenti e/o collaboratori a fuoriuscire da una determinata impresa per proseguire l’attività lavorativa alle dipendenze di un’impresa concorrente già esistente ed operante sul mercato.
Si chiarisce fin da subito che la mera constatazione di un passaggio di collaboratori da un’impresa ad un’altra non è di per sé sola sufficiente ad integrare gli estremi di un illecito concorrenziale, poiché tale passaggio rappresenta un’estrinsecazione del principio costituzionale della libertà di iniziativa economica (oltre che del principio della libera circolazione del lavoro).
L’animus nocendi
L’art. 2598, n. 3 c.c. qualifica, in via residuale, come atto di concorrenza sleale il valersi “direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda“.
Come ha anche recentemente avuto modo di evidenziare la Suprema Corte “per la configurabilità di atti di concorrenza sleale contrari ai principi della correttezza professionale commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori è necessario che l’attività distrattiva delle risorse di personale dell’imprenditore sia stata posta in essere dal concorrente con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione ed alla struttura produttiva del concorrente, disgregando in modo traumatico l’efficienza dell’organizzazione aziendale del competitore e procurandosi un vantaggio competitivo indebito” (così Cass. civ., Sez. I, ordinanza n. 3865/2020).
Uno dei presupposti imprescindibili affinché possa dirsi integrata la fattispecie di concorrenza sleale mediante storno di dipendenti è quindi l’animus nocendi, inteso come consapevolezza in chi agisce dell’idoneità dello storno a danneggiare l’altrui impresa e precisa intenzione di conseguire tale risultato.
Nello storno di dipendenti l’intento di nuocere l’impresa antagonista può ravvisarsi ogniqualvolta tale condotta sia stata attuata “al fine di appropriarsi dei frutti dell’attività” del concorrente. Integra quindi un atto di concorrenza sleale lo storno che consenta, a chi lo pone in essere, di far proprio il know-how del concorrente inteso quale “patrimonio di conoscenze e di contatti per lo sviluppo dell’attività” (così Cass. civ., Sez. I, n. 6247/2016).
Gli indici rivelatori
Non essendo semplice riuscire a dimostrare l’elemento soggettivo dell’animus nocendi, cioè l’intento di danneggiare l’organizzazione e la struttura produttiva dell’imprenditore concorrente, la Corte di Cassazione ha individuato specifici indici volti ad accertare l’esistenza di tale intento, quali:
a) la quantità e la qualità dei soggetti stornati;
b) le modalità del passaggio dei dipendenti e collaboratori dall’una all’altra impresa;
c) la portata dell’organizzazione complessiva dell’impresa concorrente;
d) la posizione che i dipendenti stornati rivestivano all’interno dell’impresa concorrente;
f) la scarsa fungibilità dei dipendenti;
g) la rapidità dello storno;
h) i metodi adottati per indurre i dipendenti e/o i collaboratori a passare all’impresa concorrente;
i) il parallelismo con l’iniziativa economica del concorrente stornante (oltre alle pronunce già citate, si veda in particolare Cass. civ., Sez. I, n. 20228/2013).
In questo commento si è analizzato il fenomeno del passaggio di dipendenti da un’impresa ad altra sua concorrente, con focus sulla posizione degli imprenditori (chi attua e chi subisce lo storno) e non su quella dei lavoratori, i quali possono eventualmente essere vincolati al rispetto del patto di non concorrenza di cui all’art. 2125 c.c..
Rinviamo all’approfondimento della partner avv. Erica Mussato sul patto di non concorrenza apposto al contratto di lavoro, sulle condizioni di validità dello stesso e sulle conseguenze in caso di sua nullità
Scritto da:
Avvocato Alfredo Pivato, Diritto Commerciale e Societario
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