Il patto di non concorrenza è un valido strumento che le aziende utilizzano per vincolare il lavoratore, al dichiarato scopo di impedire che questi, dopo la cessazione del rapporto, possa prestare la sua attività presso concorrenti (effettivi o potenziali) e possa portare loro informazioni e know how acquisiti durante la collaborazione.
In un precedente articolo abbiamo analizzato contenuto e limiti del patto di non concorrenza ed accennato a cosa accade nel caso in cui questo venga dichiarato nullo.
La nullità del patto di non concorrenza è infatti un rischio per le aziende e per gli imprenditori che può costare caro: il patto di non concorrenza dichiarato nullo perde di efficacia e svincola il lavoratore, senza la possibilità di richiedere alcuna penale in caso di sua violazione.
I casi di nullità del patto di non concorrenza
La casistica della nullità del patto di non concorrenza rispecchia una serie di errori, molto comuni, che vengono commessi dalle imprese nella redazione del patto stesso.
È importante evidenziare che il momento della redazione del patto di non concorrenza è cruciale ed essenziale per far sì che il vincolo imposto dal patto sia efficace e non sia quindi viziato e come tale impugnabile dal lavoratore stesso.
La cattiva abitudine di usare modelli prestampati per redigere patti di così vitale importanza per le aziende può risultare fatale in questi casi: ecco quindi che una consulenza preventiva può rivelarsi una scelta vincente.
In estrema sintesi, i casi di nullità del patto di non concorrenza si riferiscono a vizi sui limiti di oggetto, tempo, luogo e corrispettivo, requisiti da verificare specificamente al momento della redazione del patto stesso.
Il patto di non concorrenza può essere dichiarato nullo, ad esempio, se:
- l’indicazione dell’oggetto (attività vietata) non è sufficientemente specificata oppure è eccessivamente esteso;
- la delimitazione geografica è eccessiva (ad esempio un intero continente)
- manca del tutto il corrispettivo.
In generale, il patto di non concorrenza è nullo quando il sacrificio imposto al lavoratore è eccessivo oppure non è ben identificato o ancora non è previsto alcun pagamento in suo favore.
Il corrispettivo economico del patto di non concorrenza: quanto e quando?
Un aspetto molto importante è quello relativo al pagamento del patto di non concorrenza: accade spesso che proprio in merito a tale punto, il patto di non concorrenza venga impugnato e venga dichiarato nullo a posteriori.
Come abbiamo visto poc’anzi, il patto di non concorrenza deve prevedere un corrispettivo economico.
La sua assenza (gratuità del patto di non concorrenza) è considerato il caso più grave di nullità.
Il corrispettivo non può nemmeno essere simbolico o comunque manifestamente iniquo o sproporzionato.
Ai fini della validità del patto di non concorrenza, affinché esso sia congruo, l’importo indicativamente non deve essere inferiore al 30% della retribuzione annua riconosciuta al dipendente.
Infine, il compenso previsto dal patto di non concorrenza deve essere determinato o per lo meno determinabile.
Ciò significa che esso può essere stabilito in una cifra determinata a priori ovvero può essere legato ad altro parametro (ad esempio durata del rapporto/durata del patto stesso): per fare un esempio, può essere previsto che venga erogato un importo fisso o in percentuale rispetto alla RAL (Retribuzione Annua Lorda) per la durata del patto stesso.
Stabilito il quantum del patto di non concorrenza, va poi prevista anche la tempistica della erogazione del corrispettivo: in corso di rapporto oppure alla sua cessazione.
In questo secondo caso, non si riscontrano particolari criticità. L’unica valutazione che potrà essere svolta in ordine alla validità del patto è sulla congruità dell’importo stabilito rispetto al sacrificio imposto al lavoratore.
Tuttavia, accade molto più di frequente che il compenso per il patto di non concorrenza venga erogato mensilmente, aggiunto alla retribuzione mensile ed erogato sistematicamente per tutta la durata del rapporto di lavoro. È qui che spesso il patto di non concorrenza non regge alla prova giudiziale e cede di fronte alla scure del giudice.
Erogazione mensile del patto di non concorrenza: i due orientamenti giurisprudenziali
L’erogazione mensile del compenso per il patto di non concorrenza, prassi diffusissima, costituisce un potenziale rischio per la validità del patto stesso.
Sul punto, infatti, si sono formati due orientamenti giurisprudenziali in merito alla validità del patto di non concorrenza il cui compenso viene erogato mensilmente.
Come spesso accade, si tratta di due orientamenti, tra loro contrastanti, che si basano su diverse interpretazioni della normativa, più o meno rigorosa e che tengono comunque conto dei concreti casi pratici che sono stati affrontati nel giudizio stesso.
Vediamo i due orientamenti.
Il primo, seguito per lo più dai giudici di merito, è più rigido e ritiene che l’erogazione di un compenso mensile per il patto di non concorrenza rende invalido il patto stesso, perché il compenso sarebbe indeterminato e indeterminabile. In caso di rapporto a tempo indeterminato, infatti, il compenso, se erogato come quota della retribuzione (come accade quasi regolarmente), non è determinabile nemmeno a priori, in quanto legato alla durata del rapporto stesso, e finisce per divenire una sorta di premio per la fedeltà del lavoratore. Anzi, in taluni casi diventa un vincolo per il lavoratore non tanto al momento della cessazione del rapporto di lavoro, quanto in corso di rapporto perché, appunto, disincentiva la sua cessazione.
Il secondo orientamento, dettato invece dalla Suprema Corte, è invece più elastico e tende a non escludere a priori la validità del patto di non concorrenza in caso di erogazione mensile del relativo compenso.
La valutazione della validità del patto di non concorrenza, in questi casi, va fatta valutando attentamente il caso concreto e verificando l’effettivo importo erogato a questo titolo, confrontandolo con il sacrificio imposto al lavoratore. Se a posteriori (e quindi escludendo una valutazione ex ante della validità del patto di non concorrenza “sulla carta”, cioè basandosi esclusivamente sulla sua formulazione iniziale), il patto di non concorrenza risulta retribuito in maniera sufficiente rispetto al sacrificio imposto e rispetta tutti i requisiti di validità, allora esso è valido e vincola il lavoratore, anche se non determinabile ex ante.
In conclusione
Concludendo, il patto di non concorrenza è sicuramente uno strumento utile per l’azienda e l’imprenditore, per impedire che un lavoratore possa passare alla concorrenza creando un danno economico e di immagine.
Tuttavia, affinché il patto di non concorrenza sia effettivamente vincolante, è importante che esso sia formulato in maniera corretta, nel rispetto dei limiti imposti dalla legge ed elaborati dalla giurisprudenza.
La previsione di precisi limiti di oggetto e luogo, di un compenso determinato o per lo meno determinabile a priori, con erogazione prestabilita che non lasci spazio a dubbie interpretazioni (ad esempio, che sia erogato per mascherare aumenti retributivi), è essenziale affinché il patto di non concorrenza sia valido ed efficace e non esponga l’azienda e l’imprenditore a rischi inutili e dannosi.
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