Un tema di grande attualità riguarda la possibilità, per un lavoratore sospeso dal lavoro perché in Cassa Integrazione, di svolgere attività lavorativa presso altro datore di lavoro.
Ci si domanda spesso se un lavoratore in sospensione lavorativa che riceva l’integrazione salariale di Cassa Integrazione da parte dell’INPS, possa o meno svolgere attività lavorativa durante tale periodo.
Vediamo cosa dice la normativa e quali sono i risvolti pratici.
La normativa
L’art. 8 commi 2 e 3 del d. lgs. 148/2015, che riproduce sostanzialmente l’art. 8 commi 4 e 5 del D.L. 86/88 ora abrogato, prevede che “2) Il lavoratore che svolga attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate. 3) Il lavoratore decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale nel caso in cui non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla sede territoriale dell’INPS dello svolgimento dell’attività di cui al comma 2 …”.
In via generale, quindi, il lavoratore soggetto ad integrazione salariale può svolgere durante il periodo di sospensione dal lavoro attività lavorativa presso altro datore di lavoro.
Che tipo di attività lavorativa può essere svolta dal lavoratore in cassa integrazione?
L’attività lavorativa potrà essere di natura autonoma o subordinata: in ogni caso, si dovrà trattare di una collaborazione lavorativa limitata nel tempo e non a tempo indeterminato.
Questo perché, in caso di fruizione di trattamento straordinario di integrazione salariale (anche a zero ore), il rapporto di lavoro, anche se sospeso nei principali obblighi reciproci, continua a produrre effetti e obblighi. I periodi di sospensione, infatti, sono computati ai fini della determinazione del TFR e anche ai fini contributivi, tramite la contribuzione figurativa. Inoltre, permangono in capo al lavoratore gli obblighi di fedeltà, correttezza e buona fede. In sostanza, il rapporto di lavoro è solo sospeso per quanto riguarda gli obblighi di prestazione lavorativa e retribuzione, ma prosegue per gli altri aspetti, e ciò in ragione della prospettiva di ripresa dell’attività lavorativa.
Per tale ragione, dunque, l’attività lavorativa che può essere svolta dal lavoratore sottoposto ad integrazione salariale non può essere a tempo indeterminato ma deve necessariamente essere a termine.
In tal caso, il lavoratore non potrà ricevere, per i giorni di lavoro svolti presso altro datore di lavoro, il trattamento integrativo di Cassa Integrazione.
Che tipo di adempimenti sono previsti in caso di attività lavorativa a carico del lavoratore?
Per tale motivo, come previsto dalla norma citata, è necessario che il lavoratore dichiari preventivamente alla sede territoriale competente INPS, lo svolgimento di altra attività lavorativa: in questo modo, l’INPS, preavvisato della variazione dello stato occupazionale del lavoratore, potrà fare le opportune verifiche, sospendere quindi il versamento dell’integrazione e poi riprenderlo una volta terminata l’esperienza lavorativa alternativa.
Il lavoratore è anche tenuto a comunicare lo svolgimento di diversa attività lavorativa al proprio datore di lavoro: ciò in quanto il datore di lavoro può sempre e in ogni momento richiamare al lavoro il dipendente sospeso.
La mancata comunicazione all’INPS comporta, come previsto dall’art. 8 citato, la decadenza dal diritto al trattamento di integrazione salariale.
Tale omissione, se effettuata anche nei confronti del datore di lavoro, può comportare conseguenze, anche gravi, dal punto di vista disciplinare
Il caso giurisprudenziale – nozione di attività lavorativa
Di recente, la Suprema Corte è intervenuta con la sentenza 3116/2021 in merito al caso di un pilota di linea che, mentre era sospeso dal lavoro in Cassa Integrazione, ha svolto tirocinio formativo presso altra compagnia aerea per alcuni periodi, senza comunicarlo né alla compagnia aerea presso cui era assunto a tempo indeterminato né all’INPS.
La compagnia aerea, venuta a conoscenza di tale comportamento del lavoratore, ha provveduto a licenziarlo per giusta causa, per l’omessa comunicazione al datore di lavoro e all’INPS del periodo di lavoro presso altra compagnia aerea, ritenendo tale condotta lesiva del rapporto di fiducia intercorrente tra le parti.
All’esito dei primi tre gradi di giudizio (trattandosi di Rito Fornero), il licenziamento era stato ritenuto illegittimo e il lavoratore era stato reintegrato: ciò in considerazione del fatto che – essendo solo formativa l’attività svolta presso altra compagnia – non sussistesse alcun obbligo per il lavoratore di comunicazione nei confronti dell’Ente e del datore di lavoro.
La Corte di Cassazione, investita della questione in seguito al ricorso della compagnia aerea, ha ritenuto fondato il licenziamento, in ragione della violazione da parte del dipendente degli oneri informativi stabiliti dall’art. 8 del d. lgs. 148/2015.
La Corte ha infatti stabilito che l’ambito delle attività lavorative soggette a comunicazione preventiva (di cui all’art. 8 citato) è da intendersi nel significato più ampio: “l’attività lavorativa è intesa come insieme di condotte umane caratterizzate dall’utilizzo di cognizioni tecniche (anche se del genere più vario e della più diversa complessità), che siano obiettivamente idonee a produrre reddito. Vi rientrano, pertanto, tutte le attività qualificabili come lavorative nel senso sopra precisato (implicanti l’impiego di una professionalità, per quanto minima, e potenzialmente redditizie), senza che assuma rilievo la forma negoziale nella quale esse siano svolte (Cass. n. 2788 del 2001, che richiama il generico riferimento della legge all’attività lavorativa, come dato sostanziale, piuttosto che al dato formale del contratto di lavoro) o la loro effettiva remunerazione, rilevandone la sola potenziale “redditività”.
Il comportamento del lavoratore è stato ritenuto illegittimo in quanto contrario a quanto stabilito dal citato art. 8: l’attività svolta presso altra compagnia aerea, anche se solo formativa, era stata remunerata e il pilota non aveva comunicato alcunché né all’INPS né alla propria compagnia aerea, continuando a ricevere il trattamento di integrazione salariale.
Tale condotta è stata ritenuta idonea ad integrare giusta causa di recesso, in quanto lesiva del rapporto di fiducia tra lavoratore e datore di lavoro.
Per concludere, è possibile che il lavoratore soggetto a trattamento di integrazione salariale (CIG) svolga nel contempo attività lavorativa presso altro datore di lavoro: tra la nozione di attività lavorativa può rientrare qualsiasi tipo di prestazione idonea a produrre reddito e per la quale sia necessario l’impiego di una, anche minima, professionalità. E ciò a prescindere dal fatto che effettivamente tale attività sia remunerata o sia stata formalizzata o meno.
In tal caso, il lavoratore dovrà però effettuare le opportune e preventive comunicazioni all’INPS e anche al datore di lavoro, al fine di non incorrere in sanzioni, sia amministrative che disciplinari, quanto al rapporto di lavoro in essere.
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