Nel precedente articolo abbiamo affrontato la tematica “vaccini e obbligo vaccinale da parte del datore di lavoro”.
Era stato stabilito che in nessun caso il datore di lavoro può obbligare il proprio dipendente a vaccinarsi, in assenza di una normativa ah hoc, che preveda l’obbligatorietà del trattamento sanitario.
E in questo senso, era stato affrontato anche il tema delle conseguenze in capo al lavoratore in caso di rifiuto del vaccino. Nella incertezza data dal momento storico e dall’assenza di una normativa specifica, si era concluso che vi potessero essere conseguenze non definitive ma solo temporanee per quei lavoratori le cui mansioni fossero a maggiore rischio di contagio (ad esempio operatori sanitari), sottoponendo il lavoratore alla valutazione del medico aziendale per verificare l’idoneità alle mansioni in presenza di un rifiuto del vaccino.
In questo filone rientra anche la sentenza del Tribunale di Belluno che aveva respinto la richiesta di alcuni lavoratori di una RSA che, dopo aver rifiutato il vaccino, erano stati collocati in “ferie forzate”, ritenendo legittima la decisione datoriale di sospendere la prestazione lavorativa dei lavoratori non vaccinati (per loro esplicita scelta), senza pregiudizio economico.
Con il decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 31 marzo 2021 (d. l. 44/2021) è stato attuato l’annunciato intervento statale in merito alla questione “obbligo vaccinale”.
Si tratta di una norma statale, pur di matrice esecutiva (un decreto legge e non di un DPCM – decreto Presidente del Consiglio dei Ministri), avente forza di legge.
Cosa prevede l’articolo 4 del citato decreto
In via generale, stabilisce un obbligo di vaccinazione per determinati soggetti in ragione della professione o delle mansioni lavorative svolte.
Tale obbligo vale solo fino alla completa attuazione del piano vaccinale e comunque fino al 31 dicembre 2021.
A chi è rivolto l’obbligo?
Rientrano tra i soggetti obbligati:
– esercenti le professioni sanitarie (in totale sono 30 le professioni sanitarie attualmente riconosciute tali dal Ministero della Salute, tra cui quelle infermieristiche e tecniche – si veda la pagina dedicata sul sito web http://www.salute.gov.it/);
– operatori di interesse sanitario (massofisioterapisti, operatori socio-sanitari e assistenti di studio odontoiatrico);
che svolgano la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali.
La vaccinazione costituisce “requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative” (comma 1).
Quindi, per altri lavoratori che non rientrino specificamente nelle definizioni sopra richiamate (sia dal punto di vista professionale sia dell’ambito operativo), non sussiste alcun obbligo vaccinale.
Esistono delle esenzioni?
Il comma 2 prevede che in caso di “accertato pericolo per la salute in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate attestate dal medico di medicina generale”, la vaccinazione non è obbligatoria, potendo essere “omessa o differita”.
Come viene applicato l’obbligo vaccinale?
La procedura è descritta in dettaglio dal comma 3 al comma 10 ed è articolata come descritto di seguito.
– Ordini professionali territoriali e datori di lavoro trasmettono l’elenco degli iscritti alla Regione o Provincia autonoma in cui ha sede (entro 5 giorni dall’entrata in vigore del decreto – 1 aprile 2021) (comma 3).
– Entro 10 giorni dalla ricezione degli elenchi, Regioni e Province Autonome verificano lo stato di vaccinazione dei soggetti indicati negli elenchi e inviano segnalazione alla ASL di competenza dei nominativi delle persone che non risultano vaccinate (comma 4).
– Ricevuta la segnalazione, la ASL di competenza invita l’interessato a produrre entro 5 giorni il certificato di vaccinazione ovvero documentazione inerente all’omissione o al differimento o ancora alla richiesta di vaccinazione o all’esistenza di impedimenti alla sua effettuazione. In mancanza di tale produzione, la ASL invita “formalmente […] senza ritardo” l’interessato a sottoporsi alla vaccinazione (comma 5).
– L’ASL ha poi il compito di verificare l’avvenuta vaccinazione della persona segnalata: in caso di “inosservanza dell’obbligo vaccinale”, è l’ASL stessa a segnalare la situazione all’interessato, al datore di lavoro e all’ordine professionale di appartenenza ove presente. Tale atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo “determina la sospensione del diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio” (comma 6).
– La sospensione viene comunicata (comma 7) dall’Ordine Professionale di appartenenza all’interessato. La norma non chiarisce a cura di chi debba essere comunicata la sospensione nel caso di assenza di ordine professionale.
Quindi, quali conseguenze nel caso di inosservanza dell’obbligo vaccinale?
Indipendentemente dalla comunicazione della sospensione da parte dell’Ordine Professionale, il datore di lavoro, ricevuta la segnalazione dall’ASL, “adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6” (ossia che prevedano contatti interpersonali), con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio” (comma 8)
Ove ciò non sia possibile (non vi sia quindi la possibilità di essere adibiti a mansioni anche inferiori, ma senza il contatto interpersonale), per il periodo di sospensione non è dovuta la retribuzione o il compenso professionale (comma 8).
Il rifiuto della vaccinazione comporta quindi:
– la sospensione dalle mansioni che implichino contatto interpersonale o comunque rischio di contagio;
– con assegnazione, ove possibile a mansioni diverse, anche inferiori, e corrispondente eventuale decurtazione della retribuzione;
– in caso di impossibilità di adibizione ad altre mansioni, alla sospensione anche della retribuzione.
Naturalmente, la decurtazione o la sospensione della retribuzione non è possibile per i lavoratori per cui sussiste l’esenzione dell’obbligo vaccinale (di cui al comma 2): il datore di lavoro, in questi casi, può adibire il lavoratore non vaccinabile ad altre mansioni, anche inferiori, o sospenderlo dalla prestazione lavorativa, senza alcuna decurtazione della retribuzione (comma 10).
Quanto dura la sospensione dalla idoneità alle mansioni sanitarie?
Il comma 9 stabilisce che la sospensione mantiene efficacia fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021.
Quindi, in sintesi:
– è stato introdotto con norma di legge un obbligo vaccinale, limitato temporalmente (fino al 31 dicembre 2021) e soggettivamente (solo per soggetti che esercitano le professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario, operanti in strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali, farmacie, parafarmacie e studi professionali);
– è stata prevista una sospensione dallo svolgimento delle mansioni propriamente sanitarie a cura dell’ASL di appartenenza, con obbligo del datore di lavoro di adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni che non comportino rischio di contagio e conseguente adeguamento del trattamento retributivo, che, in taluni casi, può anche essere sospeso.
Si tratta di una norma dalla portata fondamentale, che introduce un obbligo in materia di salute con rilevanti ripercussioni nei rapporti di lavoro: vedremo dal punto di vista pratico l’operatività di tale obbligo e le conseguenze sul piano operativo nei rapporti di lavoro negli ambienti sanitari.
(Si segnala che il presente articolo è stato redatto in data 05/05/2021 sulla base della normativa vigente)
Servizio collegato a questo articolo: Problematiche sul lavoro – Imprese e società |
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